La
via della bellezza
Il bello non può essere ridotto
ad un semplice piacere dei sensi: sarebbe rifiutarsi di avere piena coscienza
della sua universalità, del suo valore supremo, altamente trascendente. La sua
percezione richiede un’educazione, poiché la bellezza non è autentica se non
nel suo rapporto con la verità – d’altronde, di che cosa sarebbe lo splendore,
se non della verità? – ed essa è, al tempo stesso, «l’espressione visibile
del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza»[1]
«Il bello non è forse la strada più sicura per raggiungere il bene? »,
si chiedeva Max Jacob. Ampiamente accessibile a tutti, la Via della bellezza
non è, tuttavia, priva di ambiguità e di deviazioni. Sempre dipendente dalla
soggettività umana, essa può essere ridotta ad un estetismo effimero, lasciarsi
strumentalizzare ed asservire dalle mode attraenti della società dei consumi.
Da ciò nasce l’urgente missione di educare a discernere tra “uti” e “frui”,
cioè tra un rapporto con le cose e le persone fondato unicamente sulla
funzionalità – uti -, e la relazione credibile e affidabile – frui
-, radicata coraggiosamente sulla bellezza della gratuità.
Il bello, come pure il vero o il bene, ci conduce a Dio,
Verità prima, Bene supremo e Bellezza stessa. Ma il bello dice più del vero o
del bene. Dire di un essere che è bello non significa solo riconoscergli una
intelligibilità che lo rende amabile. E’ dire, nello stesso tempo, che
specificando la nostra conoscenza, esso ci attira, anzi ci cattura attraverso
un influsso capace di suscitare meraviglia. … Se il bene esprime il
desiderabile, il bello esprime ancor più lo splendore e la luce di una
perfezione che si manifesta.
«Ovunque l’uomo scopre la presenza di un richiamo
all’assoluto e al trascendente, lì gli si apre uno spiraglio verso la
dimensione metafisica del reale: nella verità, nella bellezza, nei valori
morali, nella persona altrui, nell’essere stesso, in Dio. Una grande sfida che
ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il
passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento.[2]
Questo passaggio dal fenomeno al fondamento
non avviene spontaneamente per chi non sia in grado di passare dal visibile
all’invisibile perché una certa abitudine alla bruttezza, al cattivo gusto,
alla volgarità, si vede promossa sia dalla pubblicità sia da alcuni «artisti
folli» che fanno dell’immondo e del brutto un valore, al fine di suscitare
scandalo.
…..L’uomo spesso rischia di lasciarsi intrappolare dalla bellezza
presa in se stessa, icona divenuta idolo, mezzo che inghiottisce il fine,
verità che imprigiona, trappola in cui cade un gran numero di persone, per
mancanza di un’adeguata formazione della sensibilità e di una corretta
educazione alla bellezza.
Percorrere la Via pulchritudinis implica impegnarsi a
educare i giovani alla bellezza, aiutarli sviluppare uno spirito critico di
fronte all’offerta della cultura mediatica, e a plasmare la loro sensibilità e
il loro carattere per elevarli e condurli ad una reale maturità.
Così, ben lungi dal rinunciare a proporre la Verità e
il Bene che sono nel cuore del Vangelo, bisogna seguire una via che
permetta ad essi di raggiungere il cuore dell’uomo e delle culture[3].
Il mondo ne ha urgente bisogno, come sottolineava Papa Paolo VI nel suo
vibrante Messaggio agli Artisti dell’8 dicembre 1965, alla chiusura del
Concilio Ecumenico Vaticano II: «Questo mondo nel quale noi viviamo ha
bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione. La bellezza, come la
verità, mette la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che
resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare
nell’ammirazione»[4]
Contemplata con animo puro, la bellezza parla direttamente al cuore, eleva
interiormente dallo stupore alla meraviglia, dall’ammirazione alla gratitudine,
dalla felicità alla contemplazione. Perciò, crea un terreno fertile per
l’ascolto e il dialogo con l’uomo e per afferrarlo interamente, mente e cuore,
intelligenza e ragione, capacità creatrice e immaginazione. Essa, infatti,
difficilmente lascia indifferenti: suscita emozioni, mette in moto un dinamismo
di profonda trasformazione interiore che genera gioia, sentimento di pienezza,
desiderio di partecipare gratuitamente a questa stessa bellezza, di appropriarsene
interiorizzandola e inserendola nella propria concreta esistenza.
La via
della bellezza risponde all’intimo desiderio di felicità che alberga nel cuore
di ogni uomo. Essa apre orizzonti infiniti, che spingono l’essere umano ad
uscire da se stesso, dalla routine e dall’effimero istante che passa, ad
aprirsi al Trascendente e al Mistero, a desiderare, come scopo ultimo del suo
desiderio di felicità e della sua nostalgia di assoluto, questa Bellezza
originale che è Dio stesso, Creatore di ogni bellezza creata.
(Pontificio Consiglio della
Cultura, marzo 2006)
[1]Giovanni Paolo II, Lettera agli
artisti, 4 aprile 1999, n. 3
[2] Giovanni Paolo II, Fides et ratio,
op. cit., n. 83. E aggiunge: «Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni
apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una
funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione».
[3] Padre Turoldo, cantore della bellezza, riporta
questa significativa affermazione di D. Barsotti:
«Il mistero della bellezza! Finché la verità e il bene non sono divenuti
bellezza, la verità e il bene sembrano rimanere in qualche modo estranei
all’uomo, s’impongono a lui dall’esterno; egli vi aderisce, ma non li possiede;
esigono da lui una obbedienza che in qualche modo lo mortifica». Quindi
trae una chiara conclusione: «Il vero e il bello non sono sufficienti a
creare una cultura, perché non sembrano sufficienti da soli a creare una
comunione, una unità di vita tra gli uomini. E poiché la cultura è espressione
stessa di uno sviluppo individuale, di una certa perfezione raggiunta, ne viene
che la cultura massimamente sembra esprimersi nella bellezza. La bellezza è il
fine di tutte le cose» (“Bellezza” in Nuovo Dizionario di Mariologia,
Ed. Paoline, 1985, p. 222-223).
[4] Il Papa Giovanni Paolo II ha ripreso questa
essenziale affermazione nella Lettera agli Artisti, n. 11
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