martedì 25 marzo 2014

Il bello nell'arte - parte terza


La fregola della firma


La persona media che va ad un museo e guarda un quadro di un famoso pittore, lo giudica bello ed imponente. Se analizziamo il suo giudizio, scopriamo che egli ritiene che sia bello perché è tenuto a giudicarlo tale.
Il problema è di capire se il pensiero sia il risultato della propria attività mentale. Lo pseudopensiero può essere anche perfettamente logico e razionale. La questione decisiva non è quel che si pensa, ma in che modo lo si pensa (Erich Fromm)


 
Una prova ulteriore del declassamento dell’arte che si è verificato a partire dalla metà del secolo scorso e della sua riduzione a mero fatto commerciale è quella che possiamo senza dubbio definire la fregola della firma. Oggi, tutti sono disposti a dire che un’opera è bella se si sa che è di un “grande” artista, vale a dire di un personaggio consacrato dalla moderna storia dell’arte o dal battesimo della critica e delle grandi istituzioni del settore. Chi oserebbe dire che un disegno di un certo grandissimo è una vera schifezza? Nessuno, ma soprattutto per pudore, per timore di esser considerato un incompetente troglodita. Certi musei sono ricchi di opere che, se trovate nella stanza del proprio figlio, sarebbero considerate scarabocchi da cestinare. E questo, di sicuro, lo sapeva anche l’autore. Troppa malizia, troppa furbizia trapela da certe opere. Quando si fa denaro a palate con uno scarabocchio, ci si diverte senz’altro a prendere in giro l’umanità. Una vera forma d’arte, questa, senza dubbio,. Una delle più raffinate. Si paga un mega pranzo ad un ristorante con uno scarabocchio su un tovagliolino di carta. Niente di più facile a diventare una zecca ambulante.

Emblematico di quanto stiamo dicendo è il sublime scherzo delle teste di Modigliani, fatte trovare da alcuni arguti burloni nelle acque dei canali di Livorno. Ne parlò tutto il mondo. Eminentissimi specialisti e professori giurarono sulla loro autenticità e ne celebrarono la bellezza ed il fascino che promanava dai loro volti enigmatici. Furono esposte all’ammirazione di tutti.

Quando quei simpaticoni (diversi, a diverse riprese, gli uni all’insaputa degli altri) svelarono lo scherzo, si presentarono come i veri autori delle teste ritrovate in fondo ai canali, scoppiò un putiferio. Dapprima non vennero creduti, ma poi ci furono prove inconfutabili, fra cui fotografie che si autoscattarono durante il lavoro. Dopo di ciò, le teste persero il loro interesse per il mondo dell’arte e per il mondo intero. Perché? Perché non erano di Modigliani. Ma… il loro fascino, la loro enigmaticità, il loro arcano legame con le antiche teste della Lunigiana, quasi la prova di una specie di eternità della bellezza arcaica? Più nulla. Fine dello spettacolo. Fine di tutto. Non erano d’autore. Quindi, ciò che contava non era la loro bellezza, ma il semplice fatto che sarebbero state di Modigliani. 
Forse qualche critico aveva davvero percepito una reale bellezza in quelle opere di pietra. E, a guadarle, sono davvero belle, di una enigmaticità che “fa pensare”. Però, dopo il disvelamento degli autori come uomini qualunque avevano irrimediabilmente perduto il loro vero valore, cioè quello commerciale. E ciò bastò ad eliminarle definitivamente dalla memoria storica. 
Si può certamente affermare che la morte dell’arte di cui parlava Hegel è la sua trasformazione in strumento economico, la sua trasformazione in denaro.

L’arte antica, quella delle statue greche, dei templi, delle cattedrali romaniche, gotiche, i cui geniali realizzatori restano e resteranno del tutto sconosciuti, si impone per la sua metafisica bellezza, forse accentuata dalla loro antichità. Ma anche il tempo ha il suo valore ed il suo ruolo nell’accumulo di significatività di un’opera d’arte. Esempio più fulgido di questo è la musica, la cui reinterpretazione e ricomprensione costanti l'arricchiscono di significati sempre nuovi e profondi. La fregola della autenticità dell’autore è un fatto del tutto moderno, che rivela il progressivo indebolimento del senso dell’opera in se stessa a vantaggio dell’autore. Infatti, sbagliando, oggi troppo spesso si insegna nelle scuole che bisogna andare a ricercare nell’opera d’arte ciò che l’autore voleva dire, il suo travaglio interiore, la sua personalità. Il che è completamente errato. L’opera d’arte deve parlare di per se stessa, deve avere una sua autonomia indipendentemente dalle “intenzioni” dell’autore. Come un figlio, l’opera d’arte fa la sua vita e molto spesso va ben al di là delle intenzioni dell’autore; come un figlio, non rispecchia necessariamente le aspettative di un genitore. 
Il cammino dell’arte moderna è interessante proprio come monito: alla spersonalizzazione dell’individuo che è l’obiettivo della società dei consumi, si accompagna la perdita della sua capacità di riflessione critica, nemica di per sé di ogni tentativo di massificazione. Ed alla perdita della capacità critica si accompagna la banalizzazione di quelle forme di espressione e riflessione comunemente chiamate “arte” ma che non sono più tali in quanto divenute parte stessa del grande programma di lobotomizzazione generale. Il contrario esatto, cioè, di ciò che è essenziale all’arte per essere tale.


Marcello Tobia


Nessun commento:

Posta un commento