Il bello e le mode
L’estrema
banalizzazione del bello si ha attraverso le mode. La potenza persuasiva messa
in atto dal sistema di condizionamento delle masse (TV, giornali, internet,
social network, elaborazione di modelli di cantanti funzionali a determinati
obiettivi, etc) si esprime nella capacità di convincere, ogni due o tre anni,
un numero immenso di persone, soprattutto giovani, della bellezza di un tipo di
vestiario, di un colore, di certi modi di pettinarsi. Si sa che tutti questi
ragazzi si adegueranno come un immenso gregge. Tutti crederanno di aver scelto
liberamente in base al proprio gusto e si convinceranno di essere persino
originali, incapaci di rendersi conto di essere semplicemente uguali a tutti
gli altri. Taluni si sentiranno più sicuri proprio perché parte della massa.
Infatti la maggioranza crea un senso di sicurezza, di invulnerabilità. Come
certi pesci che, non avendo difese, si radunano in fittissimi banchi per
impressionare i predatori e disorientarli.
Una
moda è di per se stessa destinata a morire per lasciare il posto ad una moda
diversa. Se una persona resta indietro, cioè se non si aggiorna secondo i
modelli imposti dalla nuova moda, se continua a vestirsi come andava qualche
anno prima; se continua ad usare una giacca, un paio di calzoni o una gonna
“vecchi”, sarà inesorabilmente snobbata dai modaioli (i più) quando non presa
in giro ed emarginata.
La
grande differenza rispetto a quanto abbiamo detto del bello è che la moda è
essenzialmente effimera. Il bello di per sé è eterno, cioè vale sempre, risulta
sempre apprezzabile, comprensibile a tutti, al di sopra del tempo e dello
spazio. Oggi ci stupiamo di fronte a sculture, pitture, musiche di 500 anni fa.
Il bello supera i confini della storia. La moda no, perché è parte del sistema
economico, è strumento di potere e fonte di enormi guadagni in quanto fenomeno
di massa mutevole.
Lo
slogan che sta dietro alle mode e che permette il continuo cambiamento del
gusto a fini commerciali è: ’il bello è ciò che piace’. Pochi sono i luoghi
comuni più diffusi e sciocchi di questo. E’ tutto da vedere che sia bello ciò
che piace. A causa delle mode, ad esempio, possono piacere cose di pessimo
gusto. E, al contrario, a molti possono non piacere cose bellissime. La
mancanza di cultura, insieme al bombardamento dei modelli delle mode provoca
danni molto gravi nel cervello e nella sensibilità delle persone. Meno cultura
c’è in una persona, più essa è esposta al virus del “bello è ciò che piace”
e qualcun altro, ben al di sopra di lui, gli farà piacere cose nuove ogni due
anni. Ne programmerà a tavolino i gusti e le spese. Apprezzare il bello non è
sempre così facile ed istantaneo. Ci vuole un minimo di sensibilità, fornita
per lo più dalla cultura. Non dico che non ci possano essere persone di cultura
medio-bassa che apprezzino l’arte vera e propria, ma la probabilità che questa
condizione di ignoranza sia terreno fertile per il seme delle mode è molto più
elevata. Ecco perché l’apparato economico e politico (che del primo si nutre ed
è servo) non ha il benché minimo interesse a promuovere la vera cultura, quella
che rende l’intelletto più critico ed autonomo.
La
cultura si oppone alla massificazione, perché quest’ultima è opera di un
lavaggio del cervello generale, mentre la cultura è promozione delle capacità e
delle caratteristiche dell’individuo. Fare cultura, insegnare al meglio,
aiutare i ragazzi a formarsi una coscienza critica devono essere gli obbiettivi
della scuola[1]. Il mezzo
sono le materie. Svolgerle bene, far comprendere ai ragazzi il loro valore come
strumento di analisi del mondo, anche quelle che meno sembrano adatte a questo
scopo, significa vincere battaglie importanti e riacquistare militanti alla
causa del Bello contro ogni sua mistificazione.
[1] La scuola che, anche se mal
ridotta, continua a far paura. La cosiddetta riforma della Gelmini ha inferto
un ulteriore durissimo colpo alla cultura, eliminando di fatto nel biennio
delle scuole superiori la geografia, il diritto, restringendo il campo della
storia dell’arte, annientando il programma di storia e geografia nelle
elementari (opera già iniziata dalla sua precedente degna collega Moratti)