martedì 25 marzo 2014

Il bello nell'arte - parte seconda

Bellezze


La bellezza dell’arte ha un sovrappiù di significato, che siamo venuti fin qui dicendo. Il bello dell’arte fa riflettere, èleva al di sopra della mera quotidianità, anche se nell’arte molto spesso è proprio questa ad essere rappresentata, nel suo dolore e nelle fatiche che comporta. Il bello dell’arte fa riflettere perché nasconde in sé o meglio svela un mondo “ideale”, cioè di idee ultime, fondamentali, basilari, alla cui luce l’artista ed il suo fruitore leggono il mondo, questo mondo.

Nell’arte ci si immerge in un mondo che ha dell’iperuranio platonico. In esso si esprime il giusto, il buono, il bene, il male; si trovano insegnamenti sul come vivere. Ovviamente, non solo in opere d’arte di oggetto religioso. Tutto questo lo si trova in paesaggi, marine, ritratti, momenti di vita quotidiana, vita di poveri, di ricchi, di borghesi…. L’opera d’arte provoca una specie di catarsi che spinge l’uomo a rientrare in se stesso -anche quando si tratta di soggetti materiali e lontani da qualsiasi riferimento al pensiero- e a pensare.

Perciò l’arte è sempre stata vista con grande sospetto dai sistemi autoritari[1] e sottoposta a controlli e censure pari a quelle del pensiero politico e filosofico.

La bellezza in se stessa non è facile a definirsi. Il bel libro di Umberto Eco[2] ne tratteggia una storia di definizioni molto ampia ed eterogenea. Anche il corposo testo Sexualis Personae[3] riflette su questo tema, ma ha per oggetto soprattutto l'eros. Cioè il tentativo, nell'arte, di fare dell’elemento erotico una occasione di contemplazione del bello senza scivolare nel volgare (di cui parleremo più avanti).

Bello potrebbe essere definibile semplicemente come ciò che attrae, che piace, che rende la vita quotidiana più leggera e vivibile. Certo, in questo modo si rischia la superficialità e l’appiattimento alla banalità delle mode e dei cosiddetti “gusti personali”. E questi possono essere a loro volta buoni o cattivi. L’idea di bellezza deve far riferimento in ogni caso a qualcosa di più di quel che il soggetto considera bello in un dato momento della propria vita, della storia, nel fluttuare delle mode.

Oggi il bello si confonde con le mode in un continuo ricambio di prototipi, diciamo così, a cui la massa tende ad adeguarsi perché ad essi assuefatta attraverso i media e da essi fortemente condizionata. Il bello è la moda ed è perciò dettato dal mercato e soggetto alle leggi del mercato. Bello è ciò che fra poco non lo sarà più, soppiantato da altri tipi di bello e che presto sarà considerato ridicolo.

Anche l’arte, purtroppo, è diventata per lo più una questione di business, come le mode. Arte e bellezza spesso non hanno nulla in comune. Ciò che oggi per lo più si definisce arte è soltanto frutto di una ostinata ricerca dell’originalità, di qualcosa di eccentrico rispetto alla normalità delle cose e dei gusti, per provocare la chiacchiera, lo scandalo, la pubblicità, in poche parole. Il motivo di questa trasformazione è complesso. Poi lo vedremo. Per ora riflettiamo sul fatto in se stesso, cioè sulla acquisizione nel campo dell’arte di determinate forme di espressione tipiche della modernità.

Spruzzi casuali di colore sulla tela o tagli dovuti a coltellate; l’esposizione di feci in barattolo, mucchi di seggiole di plastica o scatoloni di prodotti commerciali, quando non vera e propria spazzatura di vario genere sono proposti come oggetti d’arte[4]. Molto hanno di provocatorio, senza dubbio, non senza un certo snobismo; spessissimo si tratta di veri esempi di semplice narcisismo. Tutti, però, hanno qualcosa in comune. L’assenza di quel genere di bellezza, tipico dell’arte, che spinga ad una dimensione trascendentale, che porti ad una riflessione, all’introspezione, alla contemplazione “del mondo delle idee”, come direbbe Platone. Si tratta di arte? Certo queste opere si impongono all’attenzione di tutti attraverso la potente macchina della propaganda del settore che li consacra come opere d’arte ed inevitabilmente le pone all’attenzione di tutti. Chiunque, sufficientemente sfacciato ed ignorante, se potesse esporre al MOMA di N.Y. ed aver spazio in riviste specializzate disponibili a recensioni ottimistiche e positive, potrebbe in breve essere annoverato fra i personaggi importanti dell’arte contemporanea.

Questo immiserimento dei contenuti dell’arte è l’altra faccia della sua riduzione a mero fatto commerciale. Dall’alto dei poteri economici e delle lobby culturali di certi paesi –soprattutto gli USA, imbattibili nello smercio di banalità- viene definita come arte qualsiasi cosa possa provocare, risultare inaspettatamente inusuale per la sua banalità o il suo cattivo gusto.

In certi casi si può concedere che determinate opere riescano ad essere semplici oggetti decorativi, adattabili, a seconda dello stile, in appartamenti supermoderni od uffici, banche, atrii di hotel di lusso…. Poco di più. Non si può dire che certi quadri o certe sculture siano brutti… di certo non sono opere d’arte nel senso da noi inteso. Begli accostamenti di colore, un tocco di inusualità…. Nulla più.


Una esemplificazione letteraria



Nel recente romanzo “Il più grande artista del mondo dopo Hitler”, di Massimiliano Parente, si tratta di un uomo, Max Fontana, il quale, fra i suoi molteplici deliri di onnipotenza ed autodistruzione,  ha capito che per diventare un grande artista ed entrare a far parte della storia, occorre fare qualcosa di assolutamente originale ed irripetibile per altri. Qualcosa che batta ogni record e lo consacri definitivamente nell’Arcadia. Egli sa che non occorre esser bravo a disegnare, scolpire, fotografare, scrivere: per diventare un grande artista occorre fare qualcosa di eclatante. Come Hitler, anche se quest’ultimo non potrà mai essere uguagliato nella storia per ciò che ha fatto. Il romanzo segue il protagonista in tutte le sue bizzarrie per arrivare ad essere notato dalla stampa e dall’opinione pubblica…. Potremmo forse dire che il nostro eroe sbaglia per eccesso. In realtà al giorno d’oggi, per “essere qualcuno” dal punto di vista della fama di pubblico, basta far presenza fissa in un semplice talk show o in uno dei cosiddetti reality. A quel punto, come già abbiamo purtroppo potuto constatare, pressoché tutte le strade si aprono e credo proprio che non sarebbe difficile trasformare in artista uno di questi personaggi (in pseudoattori ci si è già riusciti).









[1] E. Wind, “Arte e anarchia”, Mondatori 1972

[2] Umberto Eco, Storia della Bellezza, Bompiani 2012

[3] Sexualis Personae, Einaudi


[4] Recentemente è comparsa una notizia sul giornale che diceva che una donna delle pulizie ha spazzato un’”opera d’arte” fatta di mozziconi di sigaretta e rifiuti di altro genere. 

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