Il
Bello nell’arte – parte quinta
La
decadenza del Bello
La società capitalista ha come valore supremo l’utile
individuale in termini di denaro e di capacità di consumo. Questo porta
all’abbandono di molti altri valori, come abbiamo già visto, di tipo umano e
sociale. Ma anche di altro genere. Ad esempio di tipo estetico. Il progresso
industriale, lo sviluppo economico sono stati fin dall’origine in antitesi con
le esigenze estetiche di valorizzazione, promozione o quantomeno preservazione
del bello. Perché il bello non è “utile”
nel senso capitalistico del termine. Il bello comporta cultura, sforzo,
attenzione, educazione, studio, etc. Tutte cose che si oppongono alla
massificazione e al lavaggio programmato del cervello. Le caratteristiche umane
che necessitano per la percezione del bello sono le stesse che lo rendono
resistente alla massificazione: intelligenza, cultura, sensibilità, sapienza. A
maggior ragione, la produzione artistica è possibile solo al di fuori della
massa: l’artista è per antonomasia colui che esprime se stesso in modo
originale e duraturo.
La ricerca e la
preservazione del bello è qualcosa che va contro agli interessi dell’accumulo
indefinito, in cui il guadagno sta al
primo posto. Le mostruosità urbanistiche ed architettoniche che hanno devastato
troppo spesso il nostro paesaggio e ferito le nostre città rappresentano un
tipico esempio di quanto si sta qui dicendo. Inquinamento e squilibrii
ecologici sono frutto di una mentalità tutta protesa al guadagno illimitato da
parte di chi detiene il potere, economico o politico che sia, senza alcun ostacolo.
Belle architetture, belle periferie, bei luoghi di lavoro sono considerati
ideali utopistici che solo incompetenti in economia possono elaborare. Si fa di
tutto perciò per convincere che in realtà ciò che appare brutto sia quantomeno
utile per il raggiungimento di un bene superiore, più o meno vicino, più o meno
a portata di mano. “Alcune delle più disgustose qualità dell'uomo” sono
state “elevate al rango di virtù supreme”[1]
e moltissimi si sono convinti che il brutto e tutto ciò che lo accompagna sia
quantomeno un inevitabile stadio dello sviluppo della civiltà e della cultura.
Il bello è stato oggetto di una enorme mistificazione. E’
stato scambiato con ciò che gli assomiglia, ma che gli sta agli antipodi: il
volgare. Il volgare è di facile somministrazione da parte di chi programma la
massificazione dei gusti e di facile accettazione da parte di chi ne è
destinatario. Il volgare appaga gli appetiti più bassi e fornisce un piacere
immediato, semplice, ovvio, che può facilmente essere scambiato per il piacere
del Bello. La televisione ed i media in genere, strumenti per eccellenza
del consumismo più bieco, hanno contribuito in maniera determinante alla
distruzione della sensibilità al bello e alla incapacità a riconoscerlo.
La perdita dell’idea di Bello è concomitante
all’individualismo etico ed economico che fa da ideale supremo della nostra
società capitalista. Ciò che desidero, ciò che voglio, per il solo fatto di
essere oggetto del mio desiderio, è bello. Come il fare ciò che si vuole,
derivante dalla convinzione che ciò che penso e voglio sia un sacrosanto
diritto, porta all’abbandono di un serio atteggiamento critico e di confronto
con gli altri, così l’idea del bello decade a “gusto” dell’individualità più
povera.
Questo atteggiamento individualista preclude la strada alla
percezione del Bello e la apre all’invasione del volgare. Perché
l’individualista ha un bel dire che l’individuo può pensare ed apprezzare ciò
che vuole…chi gli fornisce le idee, le parole e l’oggetto del suo
desiderio, rinchiuso com’è egli nel suo ristretto mondo mediatico fatto di TV,
videogiochi ed un per lo più errato uso della rete web? Dove può trovare gli
strumenti culturali per distinguere ciò che vale, ciò che conta da ciò che
semplicemente illude, appare, inganna? Una tale perdita di intelligenza è
qualcosa di terribile, irreparabile, che ricorda le parole degli antichi saggi:
“la disattenzione è il sentiero della morte;
gli attenti non muoiono, i disattenti sono già come morti”[2].
Le proprie idee, i propri pensieri, i propri “gusti” sono davvero frutto della
nostra ricerca e quindi qualcosa di proprio solo se sono costantemente
confrontate con quelle di altri, dalla cui esperienza possiamo trarre qualcosa
di diverso dal tentativo di plagio tipico del mondo consumistico. Altre persone
che hanno ragionato, ricercato, sofferto, intensamente vissuto… ecco il valore
della cultura, della lettura, della scuola. Inserire il ragazzo in quella
vivificante corrente umana di cui siamo eredi e che è fatta delle preziosissime
riflessioni, contributi, indicazioni etiche ed esistenziali che ci hanno
lasciato in eredità. Questa è la cultura.
[1]
J.M.Keynes,in:
P.A.Samuelson, Economia, Zanichelli, Bologna 1987
[2] Dhammapada 21. L'attenzione è una virtù dell'intelletto.
Necessita della tutela di cui ha bisogno l'intelletto nelle sue normali
funzioni di apprendimento (riposo, disciplina, metodo...). soprattutto capacità
di concentrazione che, guarda caso, è ciò che manca primariamente al giorno
d’oggi, particolarmente nei giovani. L'attenzione è simile all'osservazione e
all'ascolto. Serve a discriminare il vero dal falso, l'illusorio dal reale, a far
svanire le nebbie che sono i noi. Fa riconoscere i desideri profondi e smaschera quelli indotti da paure o semplicemente
dagli altri. L'attenzione fornisce una libertà particolare, una specie di
sovranità sulle cose e sugli eventi. Sfida i luoghi comuni e supera i
pregiudizi. Non permette che ci si identifichi in stereotipi. La persona
attenta, perciò, sa ascoltare, comprendere, apprezzare cose diverse: ascolta
Bach ma anche i Beatles, apprezza il pesto e le minestre vietnamite, stupisce
di fronte a Schiele e a Michelangelo.